Home » la Via Urbana » Foro Cina Europa » Case-gabbia in affitto a Hong Kong

Mostra/Nascondi il menu

la Via Urbana

Case-gabbia in affitto a Hong Kong

Case gabbia Hongkong

A Hongkong, une des centaines de salles-dortoirs qui abritent une demi-douzaine de lits superposés et grillagés. Loyer : 150 euros par mois.

LE MONDE - 03.07.09, CORRISPONDENZA DA HONK KONG

L’anniversario della riconsegna di Hong Kong alla Cina, il 1° luglio 1997, è divenuto, dal 2003, l’occasione ufficiale di manifestare il proprio malcontento al governo della circoscrizione amministrativa speciale di Hong Kong. In questa giornata, Paul Pak , cinquantenne, lascia la “gabbia” in cui vive a Tsim Sha Tsui per raggiungere la marcia che attraversa il centro di Hong Kong, sotto l’egida della Soco, un’ONG che si batte instancabilmente per la causa dei poveri, dei nuovi emigranti e delle persone che vivono in condizioni abitative disagiate. “Troppo caldo, senza aria condizionata, troppo sporco e troppo caro. Molte pulci e insetti che mordono” , sintetizza a proposito del suo alloggio nel quale, aggiunge un altro occupante: “Donald Tsang (capo dell’esecutivo di Hong Kong) non resisterebbe neanche cinque minuti”.

L’esistenza, ancora oggi, delle case-gabbia di Hong Kong, in un territorio dove il PNL per abitante è superiore a quello della Svizzera, rimane un enigma per alcuni, per altri uno scandalo…

L’ingresso è sporco e angusto, come in tutti gli edifici di questo quartiere popolare. Una porta in ferro vecchio, dipinta e ridipinta, è nascosta nel muro decrepito, fra una bancarella di spiedini e un espositore di DVD che hanno fagocitato il marciapiede. Il muro è tappezzato di cassette della posta metalliche sgangherate e di contatori elettrici sepolti sotto anni di polvere. In alto, alcuni caratteri cinesi, dipinti in rosso direttamente sul muro, propongono “alloggi in affitto” al settimo piano. Sette piani, quindi, di scalini logori e irregolari. In fondo a un lungo corridoio una sala-dormitorio accoglie una mezza dozzina di letti a castello, muniti di rete metallica sul lato esterno, con una piccola porta-finestra sulla “facciata” del letto-casa. La rete metallica protegge contro i furti e permette di appendere grucce e sacchetti di plastica, una soluzione pratica e necessaria per riporre la propria roba quando si vive in meno di due metri quadri…

Dietro un lembo di stoffa, Yau Kwei Neng si riposa. A mo’ di presentazione, tende la carta d’identità. È nato il 19 dicembre 1941, ha abbandonato la Cina continentale per lavorare nei cantieri a Hong Kong, finché un cancro non gli ha impedito di continuare. In definitiva ha sempre vissuto qui, senza mai raggranellare denaro a sufficienza per far venire la moglie e i due figli, lasciati a meno di cento chilometri, ma che non ha mai rivisto. Rientrare in Cina? Forse. “Da vecchio (quando lo sarà)”.

Ogni mattina, alle 5, scende in strada a prendere una ciotola di tè e dei ravioli al vapore. Si occupa personalmente della cena: c’è un fornello sulla terrazza del tetto. E la sfida quotidiana è quel lungo momento fra i ravioli al vapore e il pasto della sera. I 2.000 dollari di Hong Kong (200 euro) che il governo passa mensilmente alle persone anziane non gli consentono tre pasti al giorno, una volta pagato “l’affitto” (1.500 dollari di Hong Kong, 150 euro).

Riguardo alle sue umilianti condizioni di vita, sempre credute provvisorie, afferma che la promiscuità imposta da un simile tipo di alloggio è “innaturale ”. Ci sono stati litigi in passato. Poco è mancato che un uomo non venisse ucciso. Ma oggi sono tutti “amici”. Lo stato delle toilette (un buco in uno stanzino senza luce) “non va bene” , dice sobriamente, aggiungendo di essersi “abituato ”. Yau Kwei Neng trascorre le giornate ricopiando caratteri cinesi di cui ha dimenticato il significato sulle pagine di un quaderno, che cancella quando sono piene. Il rumore della strada? Non lo disturba, è un po’ duro d’orecchi. La sua preoccupazione, a parte le pulci, è che nel 2008 il sacco di riso è passato da 30 a 50 dollari.

Nel letto più in basso, la categoria più apprezzata perché si possono sistemare le proprie cose al di sotto, un altro occupante sfida l’oscurità del luogo tentando di leggere “un po’ di filosofia e di storia” , attraverso lenti spesse. Vorrebbe saperne di più sul presidente francese, che lo incuriosisce. Arriva Wu So Chiu, una ex occupante, che era l’unica donna del dormitorio e che torna per cenare o fare una partita a carte con i suoi compagni di sventura. Adesso ha ottenuto un alloggio più decente, ma talvolta si annoia, tutta sola…

Le case-gabbia sono comparse negli anni Cinquanta come un sistema di alloggio provvisorio per la manodopera immigrata. Ho Hei Wah , direttore dell’ONG Soco, ha presentato un dossier alle Nazioni Unite. Il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (CESCR) ha stimato, a più riprese, che “le case-gabbia costituiscono un affronto alla dignità umana” e giudicato “inaccettabile l’inazione del governo di Hong Kong, nonostante questo abbia a disposizione risorse finanziarie in abbondanza” .

A Hong Kong la disparità dei livelli di vita si aggrava d’anno in anno. La riannessione alla Cina non ha portato cambiamenti. Gli attori sociali sono concordi nel dire che soltanto l’avvento di una “vera” democrazia potrebbe lottare contro questo problema. Eppure, durante il mandato di Tung Chee Hwa, capo dell’esecutivo dal 1997 al 2005, era stata avviata una politica degli alloggi precisa: 50.000 case popolari l’anno, fra il 1997 e il 2004. Ma tali iniziative sociali hanno spaventato i proprietari di Hong Kong, la cui principale ricchezza è spesso la propria casa.

Ed è dunque sotto la pressione popolare che il governo ha smesso di aiutare i poveri, per evitare d’impoverire i ricchi… “Molte persone ritengono ormai inutile fare domanda per un alloggio popolare. Alcune hanno visto specificato sulla ricevuta della loro pratica: ‘Venti anni d’attesa’. Allora, a che pro?” si domanda Ho.

Secondo le cifre ufficiali, a Hong Kong non sarebbero rimaste più di trenta case-gabbia. Il governo ne controlla il livello d’igiene e le misure antincendio. Ma si gioca sulle parole. Il governo ha infatti definito le case-gabbia a partire da dodici locatari per locale, e i gestori hanno presto compreso i vantaggi di rinunciare al dodicesimo cliente. “Questo provvedimento ha fatto peggiorare la situazione poiché se un gestore riduce il numero dei locatari, come raccomanda il governo, non è più soggetto ai controlli relativi alle case-gabbia” ci spiega Soco.

Gli occupanti, qui, sono soprattutto “nuovi emigranti”, arrivati da qualche anno dalla Cina continentale, i quali credono, a loro volta, all’eldorado di Hong Kong. Ufficialmente, sono oltre 100.000 le persone a vivere in condizioni abitative disagiate.

Florence de Changy

Articolo


I(le) Traduttori(trici) Volontari(e) per il diritto alla casa senza frontiere dell’IAI che hanno collaborato con la traduzione di questo testo sono:

Carlotta Martini, Romina Caravello