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SE/ED Napoli: Movimenti e istituzioni: un rapporto difficile, ma necessario

L’incontro al Foro Sociale Urbano di Napoli, promosso da eddyburg.it e dalla sua scuola estiva di pianificazione, è stato aperto dagli interventi di Mauro Baioni e Ilaria Boniburini che hanno illustrato le intenzioni, lo svolgimento e le conclusioni del seminario, tenuto a Sezano (VR) e dedicato al tema “Movimenti e istituzioni: soggetti antagonisti o sottoscrittori di un nuovo patto”.

Boniburini, dopo aver riepilogato il percorso settennale della Scuola di eddyburg, ha riferito sul contenuto della prima giornata del seminario. Questa ha confermato l’attualità e l’importanza dell’interrogativo posto dal tema, anche alla luce delle posizioni recentemente sviluppate dal geografo marxista David Harvey, largamente considerato come il più interessante studioso dell’attuale condizione urbana. Nella riflessione di Harvey sono rilevanti due elementi: (1) l’enfasi posta sul ruolo che le “città, condotte dal neoliberismo al più profondo degrado e disagio sociale, possono svolgere come matrici di un’alternativa radicale per la costruzione di una società migliore; (2) la sottolineatura di alcuni limiti presenti nei movimenti urbani, che impediscono alla loro azione di uscire compiutamente da una visione localistica (mentre le radici dei problemi sono spesso globali e richiedono una visione multiscalare), nonché di rinunciare al necessario equilibrio tra dimensione “orizzontale” e dimensione “verticale” della democrazia; la necessità di approfondire l’analisi di concetto fondamentali ma ancora insufficientemente esplorati, come quello di beni comuni, soprattutto in riferimento alla città. Baioni ha completato il resoconto del seminario di Sezano, con il confronto delle esperienze di partecipazione in due realtà molto distanti tra loro: la Toscana che approva una legge sul «diritto alla partecipazione», il Veneto teatro di conflitti che superano la dimensione locale (Dal Molin).

In Toscana è evidente il grande valore di una legge sulla partecipazione come strumento di garanzia per dare voce a tutti coloro che non sono portatori di interessi specifici. I primi anni di applicazione non hanno dato gli esiti sperati, con riferimento sia alle scelte territoriali, sia alla qualità del coinvolgimento dei cittadini.

In Veneto, per contro, dove il conflitto è stato aspro e profondo, la mobilitazione ha aperto alcuni spiragli insperati per un rinnovamento della politica

Immaginare una rivoluzione condivisa basata su un nuovo patto fondativo?

Alcune delle questioni dibattute a Sezano possono essere poste a premessa degli interventi dell’incontro di Napoli:

- è possibile immaginare una rivoluzione condivisa – ovverosia un cambiamento radicale sollecitato da forme di mobilitazione molto ampie?;

- è necessario rafforzare il “coordinamento” delle iniziative locali, oppure possiamo immaginare una “diffusione virale” delle istanze e delle idee che animano i movimenti?

- i conflitti attuali sono una riedizione di quanto già accaduto alla fine degli anni sessanta, oppure la condizione inedita in cui ci troviamo essere vista come un’opportunità per il cambiamento?

- dobbiamo puntare a progressi graduali, oppure è necessario un «nuovo patto» fondativo?

Il conflitto dal divorzio tra due parole, pianificazione e democrazia

L’incontro è proseguito con gli interventi di Edoardo Salzano, Vezio De Lucia, Oscar Mancini e Chiara Sebastiani.

Riferendosi alle conclusioni del seminario di Sezano, Salzano ha sottolineato come nel rapporto tra due parole sia implicito un conflitto, che ha molte facce. Per chi si occupa del territorio come habitat della società, quel conflitto si esprime nel divorzio tra due parole che dovrebbero essere profondamente congiunte: pianificazione della città e del territorio, e democrazia. Dopo aver ragionato sulla rottura del rapporto tra popolo (cui la Costituzione attribuisce la sovranità) e istituzioni e sulla necessità di un’attenta riflessione sul “ventennio della speranza” (anni 60 e 70) Salzano ha proposto due temi di lavoro:

1. comprendere meglio, più profondamente, quello che è successo, che cosa e perché il mondo (e l’habitat dell’uomo) sono diventati così come sono e non ci piacciono, e su che cosa si può far leva per cambiarli. Occorre approfondire analisi che non si fermino alla superficie delle cose, che non siano “disciplinari”, che sappiano cogliere insieme le tre dimensioni dell’habitat dell’uomo (urbs, civitas, polis). Gli sembra che i molti testi di Harvey, che Ilaria ha sinteticamente ricordato (e gli altri utilizzati nelle precedenti sessioni della scuola e che ritrovate nel nostro nuovo libretto) costituiscono un materiale utile a questo fine. Su un testo di Harvey, non ancora pubblicato in Italia, occorrerà ritornare in altre occasioni. In particolare, perché sembra rappresentare un punto di vista molto interessante per chi, come noi, si occupa di città e di pianificazione, e ha esperienze di lavoro che lo hanno condotto a ragionare in modo diverso da quello comune a gran parte dei movimenti attuali su temi come il rapporto tra democrazia diretta e democrazia delegata, sui limiti della prima, se posta come dimensione esclusiva, sulla necessità di momenti verticali e momenti orizzontali nel processo delle decisioni, nonché sul ruolo essenziale di una visione interscalare dei problemi e delle decisioni.

2) riconquistare la politica: non quella che denunciamo oggi nella sua attuale configurazione, ma quella espressa nelle parole della Scuola di Barbiana: fare politica è scoprire che, se un problema è comune, si può affrontarlo solo se si lavora insieme, e che questo è fare politica. Passare dall’IO al NOI, partire dai luoghi nei quali si manifestano problemi che sono comuni agli abitanti di un luogo o di una condizione, che sono sentiti come tali e che i soggetti che abitano quel luogo o quella condizione, che condividono quel disagio, vogliono superare cercando insieme la soluzione di quel problema e lottando per farla diventare vittoriosa.

Multiscalarità dei problemi, tema ineludibile

De Lucia ha concentrato il suo intervento su due aspetti critici nell’elaborazione della Scuola di eddyburg: molti ragionamenti e analisi trascurano il profondo dualismo che caratterizza l’Italia, trascurando la gravità del livello che ha raggiunto la condizione meridionale. Ciò si riflette anche in una sopravvalutazione della positività dei movimenti che, spesso, e in particolare nel Sud, sono alimentati da tensioni antilegalitarie, nelle quali trovano ampio terreno di pascolo le fanterie della criminalità organizzata.

Non possiamo convenire sulla crisi profonda delle istituzioni (a partire dai partiti) e non sforzarci di cogliere gli elementi positivi espressi dai movimenti. Partendo da questo giudizio, Oscar Mancini, sulla base della sua esperienza di ex sindacalista impegnato nelle grandi battaglie per la tutela dei beni comuni nel Veneto e su scala nazionale, sostiene che i movimenti che nascono su base locale, via via che maturano esperienze di lotta, non rimangano affatto chiusi dentro la prigione che tiene lontani dai grandi problemi nazionali e internazionali, ma diventano il mezzo per rileggere in modo nuovo e ravvicinato il rapporto tra i cittadini e la politica, un metodo induttivo per metterne alla prova la qualità. Condivide il giudizio che la sovranità popolare è stata sostituita dalla dittatura dei cosiddetti mercati, ovvero del capitale industriale/finanziario. Che in questo sta, forse, la causa più profonda della crisi dei partiti e della democrazia rappresentativa e che è maturo il tempo per la sinistra di assumere la dimensione dell’Europa politica e sociale, più in generale di un nuovo internazionalismo.

Ecco perché il tema della multiscalarità dei problemi, posto da David Harvey e ben noto all’esperienza degli urbanisti, è un tema ineludibile.

La vicenda referendaria dimostra che quando i problemi vengono affrontati alla scala giusta vale la massima di Gandhi: “Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci”. Sulla stessa lunghezza d’onda si è posto l’intervento della politologa Chiara Sebastiani sottolineando la grande rilevanza di due questioni: (1) l’assoluta necessità che tra il popolo (i movimenti) e le istituzioni, si collochi di nuovo una cerniera pienamente “politica”, capace di conferire coerenza, progetto, durata ed efficacia alla tensioni per uscire dal disagio urbano; (2) e che i movimenti assumano piena consapevolezza del ruolo centrale di una pianificazione urbanistica “socialmente ed ambientalmente orientata” per realizzare un habitat dell’uomo nel quale il diritto alla città non sia più solo una rivendicazione, ma divenga una città progettata, costruita e gestita come bene comune.

La ristrettezza del tempo, la ricchezza degli argomenti e la necessità di approfondire il confronto ha suggerito di proseguire la discussione online mediante l’invio di interventi all’indirizzo eddyburg@tin.it , ai quali i relatori tenteranno di rispondere proseguendo il dibattito appena iniziato nella sala dell’ex Asilo Filangeri.

 

Pianificazione e democrazia: un conflito da ricomporre
gli appunti Edoardo Salzano

1. Due slogan  Diritto alla città- città come bene comune: due slogan che si rincorrono e s’intrecciano a vent’anni di distanza: i due terribili decenni che separano gli anni della democrazia, nata dall’intreccio dialettico tra espansione e primi segni di crisi del capitalismo industriale e lotte delle classi lavoratrici dagli anni dell’egemonia del neo liberalismo e del conflitto tra il capitalismo finanziario e l’insorgente ribellione dei nuovi gruppi sociali resi subalterni.

2. Il terribile ventennio  I caratteri del terribile ventennio che sta alle nostre spalle Crescente appropriazione (saccheggio) dei beni pubblici e dei beni comuni Emarginazione del lavoro: dall’alienazione alla vaporizzazione Distruzione delle conquiste sociali raggiunte nella fase del capitalismo industriale Prevalenza (egemonia?) di un’ideologia fondata sull’individualismo, sulla miopia, sulla moneta Crescita del disagio, della povertà, dell’esclusione sociale, della distruzione dei commons planetari, Nascita di una nuova resistenza/opposizione

3. Il nuovo antagonismo  I caratteri del nuovo antagonismo: il forte intreccio tra elementi positivi e limiti il difficile passaggio dal locale, dallo specifico, dall’immediato dal frammentato al generale, al globale, all’olistico la ri-nascita della politica (Don Milani) e le spinte all’orizzontalità.
 4. Il ruolo della città  Città o “condizione urbana” ? Il mondo non è solo quello che nasce ad Atene Temi: Dalla fabbrica alla città? Solo dove gli esclusi vivono interessi comuni essi possono opporsi e conquistare Il diritto alla città: una rivendicazione per unire e conquistare Ripensiamo ai contenuti, riformuliamo i princìpi, cerchiamo gli strumenti: per restituire il buon senso alle parole, per individuare le tappe del percorso da compiere Il ruolo degli spazi pubblici e dello spazio pubblico Le antinomie da ricomporre: la lezione di David Harvey

5. Pianificazione e democrazia: un conflito da ricomporre

La pianificazione moderna è democratica

Democrazia e potere: Nell’Italia della Resistenza e della Costituzione sovrano è il popolo, le istituzioni ne sono lo strumento e la cerniera tra popolo e istituzioni sono (stati) i partiti

Crisi della politica o crisi dei partiti?

Due compiti per oggi:
(1) comprendere e far comprendere perché questo mondo non ci piace e perché e come bisogna cambiarlo
(2) riconquistare la politica.

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